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Commento alla Parola 26.02.2024 – 02.03.2024

lunedì 26: Gen 17,1b-8; Sal 118 (119); Pr 5,1-13; Mt 5,27-30
Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te. Se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna». (Mt 5, 29a.30)
Andiamo da Gesù, sorgente della salvezza che c’istruisce sul nostro cammino di conversione. Non lasciamoci spaventare dalle parole di oggi, dalla loro durezza e radicalità. Tagliare una mano, cavare un occhio, ma chi può avere un tale coraggio? I martiri ne sono stati capaci e hanno offerto la vita tra grandi tormenti, il loro eroismo ci aiuti a non spaventarci delle esigenze della sequela. Le forti immagini usate da Gesù vogliono farci comprendere che i suoi discepoli devono essere fedeli e generosi, capaci, con la sua grazia, di respingere gli assalti del male con determinazione e coraggio, senza indietreggiare davanti alla fatica, alla rinuncia e alla sofferenza.

martedì 27: Gen 13,1b-11; Sal 118 (119); Pr 5,15-23; Mt 5,31-37
«Fu pure detto: “Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto del ripudio”. Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio» (Mt 5, 31-32)
Gesù ci invita a fissare lo sguardo sulle conseguenze del ripudio, che nel suo tempo era pienamente legittimo. Abbandonare una persona alla quale si sono dette delle parole importanti, che ha scommesso la sua vita su di noi è profondamente ingiusto. Non esiste solo la libertà di seguire i propri sentimenti, occorre guardare cosa avviene in chi è lasciato: l’umiliazione dell’abbandono, il senso di fallimento e di sconfitta, la prospettiva della solitudine anche negli anni più fragili, il vedersi a volte incapaci di rimanere fedeli alla parola data e il contrarre una nuova unione, nonostante si credesse all’unicità dell’amore. I giudizi cambiano quando spostiamo lo sguardo sulle difficoltà degli altri.

mercoledì 28: Gen 14,11-20a; Sal 118 (119); Pr 6,16-19; Mt 5,38-48
«Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (Mt 5, 46-48)
Quante volte abbiamo sentito queste parole e ci sembravano normali. Poi però arriva il momento in cui si subisce un’ingiustizia e allora queste stesse parole ci fanno pensare. Occorre cercare di amare chi ci sta davanti, cercare di capire cosa succede nel suo cuore, che non significa assolutamente giustificare il suo errore, ma cercare di aiutarlo ad uscirne. È un lavoro difficile perché logora dentro, ci si sente traditi e la ragione ci dice di abbandonare al proprio destino chi ci fa soffrire. Ma il cuore ci dà altre risposte.

giovedì 29: Gen 16,1-15; Sal 118 (119); Pr 6,20-29; Mt 6,1-6
«State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli» (Mt 6, 1)
Nella cultura dell’apparenza, del bisogno spasmodico di farsi notare, dei “like” inseguiti come vero criterio del proprio valore Gesù ci raccomanda di non lasciarci ingannare. L’ammirazione degli uomini solletica l’orgoglio, sembra alimentare la nostra autostima, ci dona fiducia nelle nostre capacità, ma occorre non dimenticare mai che è fragile, superficiale, insidiosa come un terreno fangoso. Noi tutti cerchiamo riconoscimenti, “ricompense”, ma solo quelle di Dio non tradiscono. Dipendere dalle opinioni della gente è rischioso e deleterio. Sapersi amati e stimati dal Padre, sempre, ci dà stabilità e pace.

venerdì 1.3: Dt 16,1-4; 2Cr 35,1-7.10-18; Lv 6,17; 7,1-6; Ger 11,18-20
Il Signore me lo ha manifestato e io l’ho saputo; mi ha fatto vedere i loro intrighi. E io, come un agnello mansueto che viene portato al macello, non sapevo che tramavano contro di me. (Ger 11,18-19)
Nel Corano nessun profeta è ucciso. Allah non permette la sofferenza dei suoi profeti. Invece nella storia della salvezza, i profeti sono sempre perseguitati dal loro popolo. Il cammino di ogni profeta è vittimale. Devono proclamare la parola di Dio, portare costantamente il popolo di Dio sulla via dell’alleanza e non aver paura di finire come oggetto d’odio e vendetta del suo popolo. Così, l’esperienza di Geremia è drammatica. La sua gente non ascolta la parola di Dio e cerca di eliminarlo. A causa dell’arroganza del popolo d’Israele, Dio non risparmia il suo unico figlio Gesù. Così la storia della salvezza ci insegna che solo all’interno della relazione con Dio possiamo trovare la risposta alla sofferenza. Non si risponde alla violenza con la violenza.

sabato 2: Is 6,8-13; Sal 25 (26); Eb 4,4-12; Mc 6,1b-5
«Ma Gesù disse loro: “Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua”» (Mc 6, 4)
Il profeta è sempre scomodo. Chiede di cambiare abitudini, mentalità e criteri, sconvolge gli equilibri in nome di Dio. E quindi suscita reazioni di rifiuto. Soprattutto se si è cresciuti insieme con lui: ci si illude di conoscerlo già molto bene, non gli si permette di avere parole nuove da dirci. Succede anche con le critiche di chi ci sta accanto: è istintivo ribellarsi, protestando le nostre buone ragioni, anche perché convertirsi è un’operazione faticosa: chiede di guardare in faccia i nostri limiti, di riconoscerli per davvero e di porre rimedio. E questo non lo facciamo mai volentieri.

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