lunedì 11: 1Gv 3,1-9; Sal 23 (24); Lc 17,1-3a
«È inevitabile che vengano scandali, ma guai a colui a causa del quale vengono» (Lc 17, 1)
Scandalo è etimologicamente un sasso sporgente in cui si inciampa e si cade facendosi del male. Ti può cogliere a tradimento, mentre parli con un amico o guardi in giro qualcosa di bello e ti ritrovi all’improvviso per terra. È proprio il tradimento che non avresti mai immaginato a ferire in modo profondo nello scandalo, la rottura inspiegabile della fiducia, il ritrovarsi spaesati, il non potersi più appoggiare su ciò che prima dava sicurezza, stabilità. Sappiamo quanto episodi di questo tipo possano minare in modo anche irreparabile la psiche di una persona ed è proprio per questa gravità che Gesù usa parole fortissime al riguardo.
martedì 12: Ct 1,2-6b; Sal 30 (31); Rm 15,8-12; Lc 1,26-28
«La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, l’angelo disse: “Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te”» (Lc 1, 27-28)
Il nome precisa l’identità di una persona, la rende riconoscibile, distinguendola da altri. Ovviamente il nome non può definire le caratteristiche di una persona. Anche per questo a volte si danno a qualcuno nomignoli, soprannomi che alludono a qualcosa di tipico, di un po’ unico. Gabriele si rivolge a Maria chiamandola “piena di grazia”, forse gli angeli in Cielo la chiamavano così quando parlavano tra loro: un modo per dire come Dio l’aveva fatta, creata. In questo senso anche ciascuno di noi ha un nome particolare che Dio gli dà, una Sua Parola che ci definisce e ci distingue e dice chi veramente siamo.
mercoledì 13: 1Gv 3,17-24; Sal 111 (112); Lc 17,7-10
«Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”?» (Lc 17, 7-8)
Una paraboletta indiscutibile, ovvia per l’ascoltatore dei tempi di Gesù, che a noi suona comunque un po’ ruvida, sgradevole se non altro per il tono. Ha un vantaggio: che spazza via ogni pensiero di avanzare qualche titolo di merito per il nostro servizio al Vangelo e ci fa capire che anche le richieste fuori tempo, che ci trovano stanchi, sono sempre legittime. C’è quindi un massimalismo della vita cristiana che occorre sempre coltivare, pronti ad accettare di non ricevere riconoscenza per quanto abbiamo fatto, ad imitazione di Gesù che nella sua vita terrena non ha fatto in tempo a ricevere
gratitudine da nessuno per il fatto che offriva la sua vita per noi.
giovedì 14: Nm 21,4b-9; Sal 77 (78); Fil 2,6-11; Gv 3,13-17
«E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna» (Gv 3, 14-15)
I condannati alla crocifissione venivano messi bene in alto perché tutti guardassero bene, come monito severissimo, quella sofferenza e quella morte così orribili. Gesù vede, in quell’innalzamento che un giorno subirà, l’occasione perché a tutta l’umanità sia possibile vedere rivelato il volto di Dio Amore e perché la fede in questo Dio sia salvezza per tutti. E salvezza è la vita eterna, cioè il partecipare alla vita stessa di Dio, fare l’esperienza di amare come Dio ama, in modo totale, senza confini. La croce continua a parlare di tutto ciò: per questo non smetteremo mai di fissare lo sguardo su di essa, di appenderla nelle nostre case.
venerdì 15: Lam 1,1b.2a-b.6a.11c-12b.13e-f.16a-c; 3,13.15.49-50.55.31-32.56a.58; Sal 85 (86); Col 1,24-29; Gv19,25-27
«Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco tuo figlio!”. Poi disse al discepolo: “Ecco tua madre!”. E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé» (Gv 19, 26-27)
In Giovanni siamo tutti noi e Gesù ci ha donato Maria proprio nell’ora più triste della sua vita e della vita di sua madre. Come a lei Gesù ci chiede di spalancare le braccia e accogliere, proprio nel momento in cui avremmo solo voglia di piangere e di farci sostenere. In quei momenti occorre guardarsi intorno e vedere chi ha bisogno, dimenticandosi.
sabato 16: Dt 12,13-19; Sal 95 (96); 1Cor 16,1-4; Lc 12,32-34
«Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore» (Lc 12, 33-34)
Un invito molto concreto e pratico con uno sguardo che corre molto lontano. Aumentare il nostro conto nella banca del Paradiso dà infatti uno spessore preciso alla nostra fede, la libera dalle ipotesi accademiche e fa vivere già da quaggiù la vita di lassù. Ci rende davvero sin da subito «concittadini dei santi» (Ef 2, 19), o per dirla con don Bosco, “felici abitatori del Cielo”. Mentre invece se tutto il nostro tesoro è rinchiuso quaggiù è assai difficile spiccare il volo verso l’alto e rischiamo di guardare sempre alla vita che ci attende in modo pagano, come una realtà che ci deruba, sbagliando clamorosamente.