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Commento alla Parola: 5.9.2022 – 10.9.2022

Lunedì 5: 1Pt 1,1-12; Sal 144 (145); Lc 15,8-10
«Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova?» (Lc 15, 8)
Nella parabola della pecorella smarrita in qualche modo la pecora è colpevole di non aver seguito il pastore e una volta ritrovata avrà collaborato per il ritorno. In quella del figlio prodigo, il figlio è responsabile delle sue decisioni, sia nell’allontanarsi che nel ritornare. In questa, la moneta non fa nulla, è la donna che la perde ed è lei stessa che la ritrova. È come se il Signore ci dicesse: «Non permetto che ciò che è mio vada perso». Quanta consolazione: siamo nelle Sue mani e da lì nessuno può toglierci, neppure noi stessi!

Martedì 6: 1Pt 1,13-21; Sal 102 (103); Lc 16,1-8
I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce» (Lc 16, 8)
Spesso capita di pensare ai credenti come a persone ingenue che si lasciano abbindolare. Gesù non ci vuole così, già ci aveva detto: «Io vi mando come pecore in mezzo a lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe» (Mt 10, 16). Ci viene perciò chiesto di essere persone che in qualche modo attirino, ognuno per i doni che ha, e non persone che passino inosservate, remissive e quasi insignificanti. San Paolo ci dice: «Dio infatti non ci ha dato uno Spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza» (2 Tim 1, 7). Insomma se siamo figli della luce, la luce si deve vedere.

Mercoledì 7: 1Pt 1,22 – 2,3; Sal 33 (34); Lc 16,9-15
«Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza» (Lc 16, 13)
La ricchezza non è solo il denaro, ma il potere ed è difficile liberarsi da esso. Non esistono solo i grandi poteri di chi domina le nazioni, esistono anche i piccoli poteri all’interno delle nostre realtà e quelli sono attaccati a noi, anche se a volte non ce ne accorgiamo. Rischiano di diventare la ragione della nostra vita, posto che spetta solo a Dio. Distaccarsi è difficilissimo, occorre ripeterselo ogni giorno, per essere pronti a lasciare tutto in qualunque momento quando non serve più. La vera povertà è quella di chi sa che nulla è suo, nemmeno l’affetto e la stima degli altri: quelli sono solo doni provvisori per cui ringraziare sempre.

Giovedì 8: Ct 6, 9d-10; Sir 24,18-20; Sal 86 (87); Rm 8,3-11; Mt 1,1- 16 oppure Mt 1,18-23
«Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo» (Mt 1, 1)
Siamo nella grande tradizione biblica: la credenziali di un personaggio sono offerte dalla presentazione dei suoi avi. Più ampia e antica è la genealogia, più importante è la persona che viene presentata. Matteo mostra la discendenza dal re Davide e addirittura dal patriarca Abramo, per suggellare subito che in Gesù si realizzano tutte le promesse di Dio, quelle fatte dieci secoli prima al re Davide sul Messia che dalla sua stirpe sarebbe nato e, nove secoli ancora prima, quelle rivolte ad Abramo, padre della fede d’Israele e dell’umanità. Su Gesù converge ogni attesa, ogni dono divino che supera infinitamente qualunque aspettativa: perché in Lui Dio Trinità d’Amore si rivela all’uomo.

Venerdì 9: 1Pt 2,13-25; Sal 22 (23); Lc 16,19-31
Perché questa è la volontà di Dio: che, operando il bene, voi chiudiate la bocca all’ignoranza degli stolti, come uomini liberi, servendovi della libertà non come di un velo per coprire la malizia, ma come servi di Dio. (1Pt 2,15-16)
Non è facile accettare quanto propone Pietro: spesso si ritiene di far ricorso alla parola per convincere qualcuno dei propri errori e, addirittura, per essere testimoni del vangelo. Se la parola si limita a essere voce, senza la concretezza che le viene unendosi all’azione, però, è del tutto vana. Operare il bene è la forma concreta per cambiare il mondo e orientarlo al Signore. Questo è lo stile delle persone libere, che riconoscono di essere tali non perché si sbarazzano del legame agli altri o a Dio, ma proprio perché lo scelgono dando tutto di sé.

Sabato 10: Dt 11,18-24; Sal 94 (95); Ef 2,11-18; Lc 17,20-21
Mosè disse: «Porrete nel cuore e nell’anima queste mie parole; ve le legherete alla mano come un segno e le terrete come un pendaglio tra gli occhi; le insegnerete ai vostri figli, parlandone quando sarai seduto in casa tua e quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai».
Non c’è nulla di più importante per il popolo di Israele che le parole della legge donate dal Signore tramite Mosè, sono il segno dell’alleanza. Quell’alleanza è a fondamento della vita di ciascuno, per questo è necessario non tenerla per sé, ma tramandarla ai figli, facendone il centro di ogni giornata. Quelle parole mettono ancora in discussione, chiedendo di verificare che cosa sia al centro delle preoccupazioni di ogni giorno e di conseguenza che cosa ci si impegna a trasmettere a chi ci circonda. Si tratta, semplicemente, della responsabilità nei confronti di sé e degli altri: solo la memoria del Signore dà vita, perché la cambia nel profondo.

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