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Commento alla Parola: 20.12.2021 – 25.12.2021

Lunedì 20: Rt 2,4-18; Sal 102 (105); Est 5,1-8; Lc 1,39-46
«In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda» (Lc 1, 39)
Il Vangelo di Luca ci consegna l’immagine di Maria come di una ragazza vivace, intraprendente, coraggiosa, decisa. Non subisce passivamente le parole dell’angelo, non perde tempo, ma va da Elisabetta, avventurandosi in un viaggio di vari giorni. Va ad aiutarla e anche a parlare con l’unica persona che forse la può capire, sconvolta anche lei dalle sorprese di Dio. Certamente anche questa è un’ispirazione, un po’ sottintesa nelle parole che l’angelo le aveva rivolto e quindi è frutto di un ascolto interiore. E sarà bello vedere, al primo contatto con Elisabetta, che la trepidazione si scioglierà e diventerà quella gioia incontenibile cantata nel suo Magnificat.

Martedì 21: Rt 2,19 – 3,4a; Sal 17(18); Est 7,1-6; 8,1-2; Lc 1,57-66
«Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccaria. Ma sua madre intervenne: “No, si chiamerà Giovanni”. Le dissero: “Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome”» (Lc 1, 59-61)
La narrazione evangelica di Luca si dilunga nel raccontare la discussione sorta nella famiglia di Zaccaria riguardo al nome da dare al bambino appena nato. A noi sembra una questione tutto sommato di poco conto, ma il contesto culturale di Israele dava grande importanza al nome. Era un segno chiaro di identità, di appartenenza. Un nome estraneo alla tradizione di famiglia era incomprensibile, avrebbe potuto potrebbe far sospettare che in quella nascita ci fosse qualcosa di non chiaro. Ma la scelta del nome Giovanni è proprio voluta: c’è qualcosa di inedito, di dirompente che si è verificato, Dio è entrato con forza nella vita di quella famiglia e occorre che anche il nome lo dica con chiarezza.

Mercoledì 22: Rt 3,8-18; Sal 106 (107); Est 8,3-7a.8-12; Lc 1,63-80
«Grazie alla tenerezza e misericordia del nostro Dio, ci visiterà un sole che sorge dall’alto, per risplendere su quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra di morte, e dirigere i nostri passi sulla via della pace» (Lc 1, 78-79)
Il silenzio forzato di Zaccaria è stato da lui ben accolto e vissuto. Se ne vedono subito i frutti: uno sguardo ampio che abbraccia l’agire di Dio nella storia di Israele e che poco a poco sembra inondare tutta l’umanità, una percezione nuova della tenerezza e della misericordia di Dio che si è riversata su di lui ma che riguarda tutti, la capacità di cantare con gioia l’opera di Dio, lasciandosi commuovere da tutto ciò che fa in favore dell’uomo. Si vede proprio che «tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio» (Romani 8,28), anche la nostra fragilità.

Giovedì 23: Rt 4,8-22; Sal 77 (78);Est 9,1.20-32; Lc 2,1-5
«In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra» (Lc 2, 1)
Cesare Augusto ci appare qui come il grande re, plenipotenziario, che dispone della vita di tutti i suoi sudditi. Ad un suo comando tutti devono ubbidire, anche se si tratta di un capriccio, per dare soddisfazione alla sua illusione di essere il capo del mondo. Questo censimento crea disagi, difficoltà nuove, in un contesto in cui le sofferenze non mancavano di certo. Eppure tutto questo diventa solo la cornice. Il centro del quadro sarà la nascita di un bambino, in un angolo povero del globo, che cambierà le sorti dell’universo, davanti al quale Cesare Augusto diventa solo un uomo come tanti altri, bisognoso come tutti di salvezza, di vita eterna.

Venerdì 24: Eb 10,37-39; Sal 88 (89); Mt 1,18-25
«Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto» (Mt 1, 18-19)
Spesso la realtà non è come appare. La situazione in cui si trova Giuseppe sembra evidente e senza via d’uscita. La persona di fede però non si accontenta di ciò che vede, cerca di capire ciò che ci sta dietro, il motivo per cui qualcuno si comporta in un certo modo. Il dono dell’Intelletto ci fa guardare la realtà con gli occhi del cuore, non ci fa giudicare, ci chiede solo di amare e perciò di comprendere. Anche il Bimbo che vediamo nella mangiatoia non ha nessuna apparenza regale, eppure è il Figlio dell’Altissimo.

Sabato 25: Is 8,23b-9,6°; Sal 95 (96); Eb 1,1-8°; Lc 2,1-14
«C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: “Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore”» (Lc 2, 8-11)
I pastori non erano sicuramente tra i personaggi più amati dagli abitanti di Betlemme, erano duri, abituati a dormire al freddo e alle intemperie, vivevano sempre con le pecore e sicuramente non profumavano. Erano trasandati, incutevano timore. Eppure proprio loro sono stati i primi a ricevere l’annuncio dagli angeli. Le scelte del Signore sono sempre controcorrente. I Vangeli ci convincono di essere veritieri proprio per questo. Nessun uomo, in particolare ebreo, si sarebbe mai azzardato ad inventare qualcosa di simile. Il Figlio di Dio che sceglie per primi i pastori, chiama un pubblicano come apostolo, appare dopo la Resurrezione a delle donne che non potevano neppure testimoniare! Era necessaria una fantasia non umana per tessere un simile arazzo

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