Lunedì 12: Gs 11,15-23; Sal 27 (28); Lc 9,37-45
«Quando furono discesi dal monte, una grande folla gli venne incontro. A un
tratto, dalla folla un uomo si mise a gridare: “Maestro, ti prego, volgi lo sguardo
a mio figlio, perché è l’unico che ho! Ecco, uno spirito lo afferra e
improvvisamente si mette a gridare, lo scuote, provocandogli bava alla bocca, se
ne allontana a stento e lo lascia sfinito”» (Lc 9, 37-39)
Dalla trasfigurazione sul
Tabor all’incontro con il demonio: Gesù passa da un vertice all’altro, dalle vette
agli abissi. Non si isola nel Cielo della Trinità, non si lascia annientare dalle
angosce misteriose della vita, ma ci mostra che il male si affronta solo con la
forza di Dio. Se i drammi della nostra vita ci scombussolano troppo e ci lasciano
disorientati e svuotati, poveri di speranza, è perché dimentichiamo di poggiare i
piedi in Dio, perché abbiamo staccato le radici dal Paradiso, che è sin da adesso
la nostra casa sicura.
Martedì 13: Gs 24,29-32, Sal 33 (34); Lc 9,46-50
«Nacque poi una discussione tra loro, chi di loro fosse più grande. Allora Gesù,
conoscendo il pensiero del loro cuore, prese un bambino, se lo mise vicino e
disse loro: “Chi accoglierà questo bambino nel mio nome, accoglie me”» (Lc 9,
46-48)
I gesti, quando sono efficaci, sono più eloquenti delle parole. Le
immagini sanno riassumere in un lampo quello che poi i discorsi potranno e
dovranno spiegare. A chi litiga e si accapiglia perché ambisce il primo posto,
Gesù presenta un bambino, uno che non valeva nulla. E si identifica con lui!
Come a dire che Dio è presentissimo nel mondo, ma non in chi brilla pieno di
onori e di invidie su di lui, ma in chi è semplice, piccolo e disarmato. Per i
discepoli di allora e di oggi è sempre uno choc.
Mercoledì 14: Gdc 2,18 – 3,6; Sal 105 (106); Lc 9,51-56
«Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, egli
prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme» (Lc 9, 51)
Gesù non subisce in modo ineluttabile il suo destino. Lo sceglie. Lo vuole. Sa che
la sua missione richiede ogni impegno, ad essa egli è totalmente dedicato. Non
rimane indifferente ai pericoli, disprezzandoli in modo temerario, non rincorre
neppure difficoltà e sconfitte in modo autolesionistico. Ha invece di mira
qualcosa di immenso, sa che il prezzo è molto alto e non si tira indietro. Alla sua
decisione delle origini rimane fedele sino alla fine. Anche a noi capita che la vita
chieda molto, anche tutto. Occorre che il sogno che ci muove non si spenga mai,
continui a dirigerci. Solo così ci realizziamo per davvero e possiamo lasciare
dietro di noi una scia di luce.
Giovedì 15: Gdc 6,1-16; Sal 105 (106); Lc 9,57-62
«Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: “Ti seguirò dovunque tu
vada”. E Gesù gli rispose: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro
nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”» (Lc 9, 57-58)
Gesù non vuole spegnere gli entusiasmi, ma mettere in guardia. Nella missione
infatti occorre essere lungimiranti, non solo nei confronti delle persone e delle
realtà che ci sono affidate, ma anche verso noi stessi. Non sappiamo come
invecchiamo, rimaniamo sorpresi di come siamo fatti, pensavamo di aver risolto
problemi che un bel giorno bussano alla porta con troppa insistenza. Insomma,
non abbiamo sicurezze umane, nostre, che offrano garanzie definitive. Occorre
davvero vivere di Dio, di quella manna che Lui non ci fa mai mancare ogni
giorno, consapevoli che il frutto, il merito di quello che riusciamo a realizzare di
buono, è tutto Suo.
Venerdì 16: Gdc 6,33-40; Sal 19 (20); Lc 10,1b-7a
«Il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni
città e luogo dove stava per recarsi» (Lc 10, 1)
Settantadue è un bel numero.
Non puoi illuderti di avere tra loro solo persone preparate, sapienti, equilibrate,
avvedute. Gesù conosce bene i loro limiti, al posto suo saremmo stati più
guardinghi, anche perché il compito che affida loro è importantissimo:
annunciarLo. Eppure il suo non è un azzardo. A Gesù infatti non sono
indispensabili qualità eccelse o una preparazione completa. Invia persone
disarmate a portare la pace, a raccontare, con i mezzi di cui dispongono,
l’esperienza che loro stessi hanno fatto, quello che hanno capito. È solo una
preparazione. Quello che conta sarà il Suo arrivo, l’incontro di ciascuno con Lui.
Sabato 17: Nm 6,1-5.13-21; Sal 95 (96); Eb 12,14-16; Lc 1,5-17
«Al tempo di Erode, re della Giudea, vi era un sacerdote di nome Zaccaria, della classe di Abia, che aveva in moglie una discendente di Aronne, di nome Elisabetta. Ambedue erano giusti davanti a Dio e osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore» (Lc 1, 5-6)
La fedeltà a Dio, alle sue parole, alla sua legge è una cosa molto bella. È segno di una vita che si orienta verso il bene, che desidera diffonderlo, testimoniarlo. C’è tanta luce in un’esistenza così. Nella storia di Zaccaria ed Elisabetta appare però anche evidente il segno della loro sterilità: come a dire che da soli non siamo capaci di innovare per davvero, di trasmettere vita nuova. Una vita fedele rimane sempre in attesa: solo l’irruzione di Dio la può trasfigurare e proiettare in orizzonti sconosciuti. Tutto questo però è grazia, non dipende da noi, non è neppure prevedibile. Se ne può parlare solo quando accade. Allora metteremo in campo tutto quello che siamo per realizzarla, però sapendo bene che il motore, gli inventori, non siamo noi.