Lunedì 13: 1Gv 3,1-9; Sal 23 (24); Lc 17,1-3a
«Disse ai suoi discepoli: «È inevitabile che vengano scandali, ma guai a colui a
causa del quale vengono» (Lc 17, 1)
Non c’è fatalismo nelle affermazioni di Gesù. Il male c’è, non riusciamo ad
estirparlo e la parabola del buon grano e della zizzania ci ricorda che bene e
male crescono insieme. Ma il male resta un male, è odioso e degno di disprezzo,
non lo si edulcora con considerazioni generiche e non si scende a patti con esso.
Certamente la responsabilità di chi lo commette non viene cancellata. Ma tutto
ciò non oscura la misericordia. La tentazione di assolutizzare un elemento o un
altro è sempre in agguato, anche perché occorre imparare dal cuore di Dio per
tenere insieme queste realtà senza metterle in antitesi.
Martedì 14: Nm 21,4b-9; Sal 77 (78); Fil 2,6-11; Gv 3,13-17
«E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il
Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna» (Gv 3, 14-15)
Di solito è gratificante essere innalzati: significa essere sotto gli occhi di tutti,
guardare il mondo dall’alto in basso, sentirsi importanti. Ma per il discepolo di
Gesù l’innalzamento che vale è un altro, ben diverso, il Suo: quello della croce.
Questo innalzamento però piace a pochi. Significa essere castigati, umiliati nel
modo più orrendo. L’amore può subire anche questo. Alzando lo sguardo verso
il crocifisso si viene guariti dentro, ci si sente consolati quando tutto imperversa
contro di noi, si ritrovano energie per ricominciare mille volte senza abbatterci.
Addirittura si incontra l’Amore, quello eterno, che nulla chiede e tutto dà.
Mercoledì 15: 1Gv 3,17-24; Sal 111 (112);Lc 17,7-10
«Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”?» (Lc 17, 7)
Sono molte le categorie alle quali un discepolo appartiene. La più bella e sorprendente è quella di figlio, che ci rende come Gesù di fronte al Padre. Ma c’è anche quella di amico, che non è da poco: essere amico di Dio è un onore formidabile. E poi c’è quella di servo, che suona un po’ avvilente al confronto delle altre due. Però c’è chi la mette in grandissimo onore: penso a Maria che si autodefinisce serva, schiava del Signore. Ed essere come Maria è un sogno allettante. Occorre quindi comprendere tutte queste dimensioni, senza censurarne alcuna, leggendole insieme, lasciando che ciascuna si rispecchi nell’altra e si illuminino a vicenda. Così capiamo meglio chi siamo.
Giovedì 16: 1Gv 4,1-6; Sal 72 (73); Lc 17,11-19
«Uno dei dieci lebbrosi, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran
voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un
Samaritano» (Lc 17, 15-16)
Questo lebbroso guarito contravviene alla prescrizione di Gesù. Non va dai sacerdoti, ma torna indietro da Lui a ringraziare con tutto il cuore. È troppo grande la gioia e la gratitudine, per cui trascura la
legge. Gesù lo addita ad esempio. Ancora una volta il discepolo vive in ossequio
alle leggi, ma non è vincolato da nessuna, perché la legge suprema resta quella
dell’amore. Questa libertà non è facile per chi è abituato a trovare
rassicurazione nella legge: la sente come una trasgressione. Ma la magnanimità
di Dio ci insegna a sconfinare. E questo, sempre, interroga e affascina.
Venerdì 17: 1Gv 4,7-14; Sal 144 (145); Lc 17,22-25
«Disse poi ai discepoli: “Verranno giorni in cui desidererete vedere anche uno
solo dei giorni del Figlio dell’uomo, ma non lo vedrete. Vi diranno: “Eccolo là”,
oppure: “Eccolo qui”; non andateci, non seguiteli”» (Lc 17, 22-23)
Gesù accenna alla nostalgia che nascerà nei cuori dei discepoli: quella dei giorni
felici passati con il Maestro, della familiarità diretta con Lui, quella delle
sorprese e delle novità che erano pane quotidiano. È la nostalgia che potrebbe
spingere a correre dappertutto pur di gustare nuovamente quell’ebbrezza. Ma
l’ammonimento è quello di non assecondare questi impulsi. Occorre guardare
avanti, non indietro, attendere, non rimpiangere. E se il discepolo rimane fedele
al comandamento nuovo dell’amore reciproco sperimenta che quei giorni
antichi si possono rivivere, che la Sua presenza è ora silenziosa, invisibile ma
reale, che quella gioia non si spegne.
Sabato 18: Dt 12,13-19; Sal 95 (96); 1Cor 16,1-4; Lc 12,32-34
«Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore»
(Lc 12, 33-34)
Il tesoro del cristiano è il Paradiso. Lì impara a ritornare spesso con il suo pensiero, perché sa che tutto passa, ma Dio resta. Perciò si allena a non accumulare tesori, a non avvinghiarsi a ciò che lo attira su questa terra: tutto il bello che vediamo quaggiù è solo piccola anticipazione e profezia di ciò che sarà lassù. Così le ansie e le paure hanno uno sbocco dove possono rifluire e non terrorizzano più. Il guaio invece è per chi si è educato e si è convinto che quello che esiste sia già tutto sotto i nostri occhi. Quando perde qualcuno o qualcosa di molto importante la sua vita si svuota completamente e rimane solo l’abisso che lo può anche inghiottire.
à scomparso, introvabile.