Il Cammino sinodale nella vita ordinaria delle comunità
L’evento, pur importante, deve porsi a servizio dello stile: così monsignor Castellucci, vicepresidente della
Cei e referente per l’Italia del Sinodo dei vescovi- di monsignor Erio CASTELLUCCI – Arcivescovo Abate
di Modena – Nonantola e Vescovo di Carpi, Vicepresidente Cei e Referente per il Cammino sinodale
Evento o stile? Mentre percorriamo insieme il cammino tracciato da papa Francesco – e
quindi letteralmente facciamo “sinodo” – diventa sempre più evidente che l’accento è sullo
stile. L’evento è importante, certo, ma deve porsi a servizio dello stile. Molti eventi e poco
stile: forse è uno dei problemi delle comunità cattoliche in Italia. Già da tempo la caduta
della “cristianità” reclama il passaggio dal paradigma della conservazione a quello della
missione, come ripetono tutti i Papi dal Vaticano II a oggi. La pandemia, poi, ha sparigliato
le carte, costringendoci a reimpostare non solo la partita, ma il gioco stesso e le sue regole.
Non basta oggi convocare le persone per gli eventi, siano essi liturgici, catechistici,
caritativi o ricreativi: è necessario, sì, ma non più sufficiente per annunciare il Vangelo e
formare donne e uomini cristiani.
Il Cammino sinodale sta attivando molti eventi, diffusi in tutte le diocesi: soprattutto gruppi
di ascolto e riflessione, celebrazioni, attività, iniziative culturali, dialoghi, spettacoli… e
presto verranno prodotti testi di sintesi e documenti di lavoro. Ma soprattutto si sta
formando uno stile: quello, appunto, sinodale. Non è un’invenzione di papa Francesco, ma è
semmai un’invenzione di Gesù, che decise di lavorare per il regno di Dio, camminando
insieme a una dozzina di collaboratori: “camminando”, non convocando la gente dentro una
scuola, una sinagoga o un tempio; “insieme”, non muovendosi come un profeta solitario. La
Chiesa ha poi fin dall’inizio accolto e praticato questo stile di itineranza comunitaria: e i
sinodi, a tutti i livelli, ne segnano la storia. Si è però annebbiata qua e là, nel corso dei
secoli, la prassi partecipativa dell’intero popolo di Dio, rilanciata dal Concilio Vaticano II
sia per la liturgia, sia per l’annuncio e la carità.
Ecco lo stile, al cui servizio deve porsi l’evento: la fraternità. Del resto “fraternità” fu una
delle prime definizioni della comunità cristiana (cfr 1 Pt 2,17 e 5,9); e la fraternità non era
riservata a pochi eletti, i battezzati, ma si apriva a tutti, ebrei e gentili, donne e uomini,
schiavi e liberi (cfr Gal 3,27-28). La fraternità è la rete di relazioni intessute da Gesù, con la
sua carne prima che con la sua parola: per questo va vissuta, più che pensata e progettata; e
chi la sperimenta si rende conto che è proprio questo lo stile evangelico. La fraternità si
esprime in tante direzioni, richiamate continuamente da papa Francesco già dalla Evangelii
Gaudium: accoglienza, ascolto, prossimità, condivisione, solidarietà, annuncio, missione,
essenzialità, povertà, e così via. In fondo papa Bergoglio impostava già quello stile sinodale
che ha poi impresso alle Chiese, quando prospettava di mettersi in cammino, come cristiani,
prendendo parte a quella «marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza
di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio» (EG 87).
Grazie a tutti coloro che si impegnano nel Cammino sinodale, stiamo riscoprendo una
fraternità aperta, che può e deve diventare stile. Per questo cercheremo, nelle Chiese in
Italia, di favorire la sinodalità non solo in questa prima fase narrativa, dell’ascolto, ma
anche nelle altre fasi – sapienziale e profetica – e negli anni successivi, favorendo la
recezione di quanto sarà emerso. Stiamo approfondendo e imparando nuove modalità, più
fraterne e più snelle, più umili e più capillari, di vivere il discepolato del Signore Gesù
insieme all’umanità del nostro tempo.