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Commento alla Parola: 26.12.2022 – 31.12.2022

Lunedì 26: At 6,8-7,2a; 7,51-8,4; Sal 30 (31); 2Tm 3,16-4,8; Gv 15,18-22
«Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi». (Gv 15,20)
Nel presepe oltre ai classici personaggi, ci sarebbero da aggiungere i tre grandi testimoni che da oggi la Liturgia ci fa incontrare. Il primo è Stefano, diacono e martire: è il testimone di Cristo che arriva a donare la vita a immagine del suo Signore. Testimoniare l’incarnazione di Cristo significa fare della propria vita un dono gratuito a lui e all’umanità intera. Riconoscere di essere fondati, di trovare senso e gioia nella persona di Gesù, può essere motivo di persecuzione. Gesù dà fastidio ancora oggi, a quelle persone che non vogliono riconoscere il suo messaggio di figliolanza, che diviene fraternità condivisa perché rinati nel battesimo da un unico Padre, Dio. Dà fastidio Gesù a quanti suppongono di vivere il loro rapporto con Dio obbedendo a norme e precetti morali, ma non riconoscono nel fratello che sta accanto un figlio di Dio da lui salvato misericordiosamente come lo sono io.

Martedì 27: 1Gv 1,1-10; Sal 96 (97); Rm 10,8c-15; Gv 21,19c-24
«Quello che abbiamo udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi, quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita, noi l’abbiamo veduta e di ciò diamo testimonianza». (1Gv 1,1-3)
Il secondo testimone che di diritto è “di casa” nel presepe è l’evangelista Giovanni. È il testimone vergine che annuncia la buona notizia del venire di Dio verso l’umanità, ne fa esperienza diretta, sensibile (udire, vedere, toccare) e la proclama perché la gioia del dono che è Gesù, il Figlio di Dio, sia per tutti. Giovanni ha il cuore vergine, appartiene totalmente a Cristo, non ha doppi fini di tornaconto personale. Per questo lo sa riconoscere vivo e presente, fonte di letizia, e lo annuncia con chiarezza e acume teologico andando sempre più in profondità nel mistero di Dio che si fa uomo, cogliendone la sua divinità. Questa intima conoscenza, illuminata dal dono dell’intelletto spirituale, esprime in maniera lampante l’elemento fondante del cristianesimo: Dio è amore incarnato. Non puoi dire di amare Dio che non vedi, se non ami il fratello che vedi, che ha un volto preciso, quello di Gesù di Nàzaret.

 Mercoledì 28: Ger 31,15-18.20; Sal 123 (124); Rm 8,14-21; Mt 2,13b-18
«Ritengo infatti che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi». (Rm 8,18)
Il terzo testimone che sta accanto alla mangiatoia del bambino Gesù è il gruppo dei santi martiri Innocenti che, per insensata crudeltà di re Erode, vengono uccisi a causa di Gesù. Il dolore innocente dà testimonianza al Figlio di Dio neonato. Gesù stesso subisce la persecuzione, è odiato prima ancora che possa dire una parola, è temuto perché vi è il sospetto che voglia usurpare il trono di Erode. La logica umana del potere, che diviene prepotenza, si oppone alla logica del regno di Dio, del Figlio che rivela il Padre. Maria e Giuseppe fuggono in Egitto con Gesù: paura, apprensione, timore nel fare la scelta giusta per salvare la vita al bambino, tuttavia sicuri dell’amore del Padre che guiderà i loro passi. La provvidenza di Dio passa attraverso le nostre scelte quotidiane di bene, per edificare l’amore incarnato, e le parole del profeta saranno compiute: «I tuoi figli ritorneranno nella loro terra».

Giovedì 29: Mi 4,1-4; Sal 95 (96); 1Cor 1,1-10; Mt 2,19-23
«Entrò nella terra d’Israele». (Mt 2,21)
Giuseppe è l’uomo che ascolta la Parola di Dio, discerne, obbedisce, agisce con saggezza, prudenza e decisione. Regnava in Giudea il figlio di re Erode, la paura fa decidere a Giuseppe di non stabilirsi lì, ma di ritornare in Galilea, a Nàzaret, ritrovando una corrispondenza con le Scritture che preannunziavano il Messia come Nàzareno. Giuseppe è senz’altro uomo di preghiera e riflessione, pur provando paura, Dio lo guida proprio in questo rapporto intimo e personale. Gesù, con Maria e Giuseppe, compie l’esodo definitivo ritorna in Israele, per essere la Parola di Dio che vuol far ritornare il suo popolo al Padre. Si attua così la profezia di Osea (11,1): «Dall’Egitto ho chiamato mio figlio». Gesù è veramente il Figlio del Padre che conduce verso la sua casa dove, anche noi figli adottivi, abbiamo la méta. Le difficoltà o pericoli della vita non siano di impedimento a confidare in Dio sull’esempio di Giuseppe.

Venerdì 30: Mi 4,6-8; Sal 95 (96); 2Cor 1,1-7; Lc 11,27b-28
«Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!» (Lc 11,28)
La grandezza di Maria non sta nell’essere la madre biologica di Gesù, ma bensì quella spirituale. Certamente Maria conosceva e meditava la Sacra Scrittura, prova ne è ad esempio il bellissimo cantico del Magnificat, compendio e adempimento delle profezie attuate in lei. L’ascolto attento e profondo della Parola di Dio non è un esercizio intellettuale, o per addetti ai lavori (biblisti, esegeti, ermeneuti), ma è per ciascun cristiano, invitato ad attuarlo in quanto il fine è la realizzazione nella propria vita personale della Parola accolta nella preghiera. Il Verbo si fa carne anche in me, in te, in ciascun credente che si riconosce discepolo di Cristo. San Paolo ci ricorda che «la Parola di Dio è viva ed efficace» (Eb 4,12), quando entra nella vita concreta e, così facendo, genera altra vita, la vita di Dio in noi con un dono speciale quello della beatitudine, della consolazione e della gioia.

Sabato 31: Mi 5,2-4a; Sal 95 (96); Gal 1,1-5; Lc 2,33-35
«Egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione». (Lc 2,34)
Simeone rappresenta il Primo Testamento che accoglie il Nuovo nella persona di Gesù. Definendo Gesù “segno” significa che tutto ciò che lui vivrà, farà e dirà nella sua vita, rimanderà a “un’altra cosa”, meglio a Qualcun altro, il Padre. Il segno può essere interpretato in vari modi, attraverso lui ci sarà salvezza o rovina. Se lo interpreti correttamente, ti porterà anastasis, risurrezione; se lo interpreti in modo sbagliato, ti porterà alla rovina, perché essendoti messo contro di lui, rivelerà cosa porti nel cuore. I profeti dicono: «Vi darò un cuore nuovo»; e ciò significa: “vi darò una mentalità nuova”. Il Messia ha il compito di rivelare, di mettere a nudo, i pensieri della gente di fronte a lui; lo interpreteranno in un modo o nell’altro, prenderanno posizione, lo accoglieranno o lo rifiuteranno e in ciò si giocherà la loro salvezza o la rovina. Per questo, troverà ostacoli e sofferenza, sarà detto-contro, contraddetto.

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