Nessun commento

Commento alla Parola: 5.12.2022 – 12.12.2022

Lunedì 5: Ger 10,1-10; Sal 134 (135); Zc 9,1-8; Mt 19,16-22
«Che cosa devo fare di buono per avere la vita eterna?» (Mt 19,16)
Presi dai molteplici preparativi per l’avvicinarsi del Natale del Signore, anche noi possiamo preoccuparci di “che cosa devo fare di buono” perché sia una bella festa con tutta la famiglia? La prima questione è proprio questa, non c’è nulla di puramente esteriore da fare, piuttosto c’è da lavorare sulla propria interiorità perché possiamo accogliere il dono che il Salvatore viene a portare. Consolazione, misericordia, pace, serenità e soprattutto vita, vita eterna! Immersi nel nostro quotidiano, storditi dalle mille incombenze, rischiamo di dimenticarci di curare il nostro cuore, perché Cristo venendo possa trovare una degna dimora in cui abitare. È necessario prepararsi curando il “cosa devo essere di buono” per accogliere Cristo nella mia casa: ecco io sto alla porta e busso, se uno mi apre, entrerò e ceneremo insieme! Cristo è qui, cosa sei disposto a lasciare nella tua vita perché ci sia posto per lui?

Martedì 6: Ger 10,11-16; Sal 113b (115); Zc 9,11-17; Mt 19,23-30
«Chiunque avrà lasciato… per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna». (Mt 19,29)
Lasciare per il nome di Gesù, significa accoglierlo nella propria vita, secondo il suo progetto d’amore. Per pro-getto non s’intende un disegno definito e stringente come può essere, di fatto, quello di un architetto in cui “starci dentro”, ma significa “gettare in avanti”, ampliare una prospettiva di vita che si apre grazie al dono che ci viene da Cristo. Il progetto di Cristo è secondo il comandamento dell’amore verso Dio, verso il prossimo, verso sé stessi, per il mondo. L’amore più reale è incarnato, attuandosi apre orizzonti di eternità, perché la fonte stessa dell’amore è Dio (1Gv 4,16). Accogliere Cristo significa lasciare, non per perdere, ma per ricevere un centuplo e la vita eterna che iniziano già ora, nella misura del dono di sé, che diventa a sua volta consolazione, gioia e pace, ritrovando la propria vera e profonda identità e legame con la Trinità, che è nella sua essenza comunione.

Mercoledì 7: Sir 50,1a-b; 44,16a.17ab.19b-20a.21a.21d.23a-c;45,3b.12a.7.15e-16c, Sal 88 (89); Ef 3,2-11; Gv 9,40a;10,11-16
«Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me». (Gv 10,14)
Gesù è il modello del pastore che ha cura del suo gregge. Egli si indentifica con Jahvé che è il Pastore del popolo d’Israele, affermando di essere lui stesso il Pastore che ha cura delle pecore e per esse offre la vita. La reciproca conoscenza tra Gesù-pastore e le pecore non è un’azione intellettuale ma bensì relazione affettiva, cordiale, ossia di cuore, per cui è disposto a donare la sua vita per il gregge che il Padre gli ha affidato. È una relazione profonda, simile a quella tra Gesù e il Padre, un legame forte e appassionato, un’amicizia sincera che non vede ostacoli nel suo realizzarsi fino all’estremo sacrificio. Questo amore grande che Gesù esprime è per noi che facciamo parte del popolo, nasce dal suo cuore pieno di carità, che diventa àgape per una vita di comunione, reciproca appartenenza. Affidiamo all’intercessione di sant’Ambrogio il nostro Vescovo perché sappia imitare la carità pastorale di Cristo.

Giovedì 8: Gen 3,9a.11b-15.20; Sal 86 (87); Ef 1,3-6.11-12; Lc 1,26b-28
«La vergine si chiamava Maria… Rallégrati, piena di grazia: il Signore è con te». (Lc 1,27-28)
Il significato più probabile del nome Maria è “signora”, “principessa”, “padrona”. L’angelo saluta la vergine dicendole chaire, che significa “rallégrati”, poi aggiunge: «piena di grazia» che si traduce kecharitòmènè, dal verbo charitòò, usato nel Nuovo Testamento solo qui e in Ef 1,6. Dio dà un nome nuovo a Maria per esprimere la sua benevolenza, la pienezza di grazia con cui l’ha arricchita, con tutto il cumulo di benedizioni che le ha elargito in vista della sua elezione alla maternità del Messia, il Figlio di Dio. L’angelo la chiama “amata gratuitamente” e questo nome dice la sua profonda identità, ciò che lei è agli occhi di Dio. «Rallégrati, piena di grazia»: c’è una connessione tra la gioia e la grazia. Non è solo una questione etimologica della lingua greca – gioia e grazia hanno la stessa radice (charà e chàris) – a noi interessa il significato: gioia e grazia vanno insieme perché Dio fissa la sua dimora in Maria.

Venerdì 9: Ger 17,19-26; Sal 14 (15); Zc 10,10-11,3; Mt 21,23-27
«Con quale autorità fai queste cose? E chi ti ha dato questa autorità?» (Mt 21,23)
All’ingresso trionfale nella città santa, causa di agitazione tra il popolo (v. 10), seguono il giudizio di Gesù sull’attività cultuale del tempio, contestando lo svolgimento “rituale” dei cambiavalute, poi la maledizione del fico sterile, simbolo dell’insegnamento e religiosità giudaica, che evidenzia un inutile formalismo nel modo di vivere il rapporto con Dio e, infine, gli stessi insegnamenti di Gesù che si oppongono a una vita religiosa priva di fede personale, irritano e induriscono il rapporto con i capi e gli anziani del popolo. Per questi motivi la domanda sull’autorità di Gesù è al centro della disputa. Cristo ricorda loro il battesimo di Giovanni là dove si udì la voce del Padre che dichiarava: «Questi è il Figlio mio, l’amato»; l’identità e l’autorità di Gesù sono attestate da Dio, si aprono i cieli, non c’è più nulla di nascosto. Il volto del Padre è quello di Gesù di Nàzaret.

Sabato 10: Ger 23,1-8; Sal 88 (89); Eb 11,1-2.39-12,2a; Mt 21,28-32
«Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli». (Mt 21,32)
Si può accogliere Cristo nella propria vita solo con la fede, nel credere il suo essere Figlio di Dio attraverso le sue azioni e i suoi insegnamenti. Sacerdoti e anziani del popolo vedevano e sentivano gli insegnamenti di Gesù ma, fermi nella loro religiosità malata, fatta di precetti e norme, “attaccati” alla Legge come se questa fosse il fine e non il mezzo per amare Dio e il prossimo, accecati, non potevano riconoscere in Gesù di Nàzaret il Messia inviato dal Padre. Come non hanno accolto la predicazione di Giovanni Battista, che ha convertito pubblicani e prostitute, così ora a causa della loro incredulità, non vogliono accogliere Cristo. Può capitare anche a noi di “disegnare” nella nostra testa un volto di Dio che non corrisponde a quello di Gesù, perché occupati a difendere i nostri schemi religiosi del “si è sempre fatto così!”, e soprattutto il nostro “io” ingombrante che vuole prendere il posto di Dio.

I commenti sono chiusi.