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Commento alla Parola: 12.9.2022 – 17.9.2022

Lunedì 12: 1Pt 3,1-7 Sal 23 (24); Lc 17,1-3a
Il vostro ornamento non sia quello esteriore – capelli intrecciati, collane d’oro, sfoggio di vestiti – ma piuttosto, nel profondo del vostro cuore, un’anima incorruttibile, piena di mitezza e di pace: ecco ciò che è prezioso davanti a Dio. (1Pt 3,3-4)
Lette oggi le parole di Pietro colpiscono: si rivolge alle donne parlando di sottomissione e di atteggiamenti prescritti a loro sole. Evidentemente Pietro scrive a partire dalla cultura che vive, per molti versi non più adeguata nella contemporaneità. Eppure, quelle parole sono ancora oggi lo strumento perché la Parola ci dia vita e la cambi: ciascuno può esaminare se sta costruendo un’esistenza nella quale è prioritaria l’esteriorità, oppure se la cura per sé corrisponde alla costruzione di un carattere forte, in cui l’interiorità è relazione con il Signore così profonda da essere percepibile a partire dagli atteggiamenti quotidiani.

Martedì 13: 1Pt 3, 8-17; Sal 33 (34); Lc 17, 3b-6
«Se il tuo fratello commetterà una colpa, rimproveralo; ma se si pentirà, perdonagli. E se commetterà una colpa sette volte al giorno contro di te e sette volte ritornerà a te dicendo: “Sono pentito”, tu gli perdonerai» (Lc 17, 3-4)
Il perdono sempre. Senza eccezione. Anche se nascono in noi rimostranze e sospetti che quella persona che ci chiede scusa mille volte ci stia prendendo in giro. Ma di fronte alla sua sincera richiesta di scuse il nostro perdono non può mai mancare. Perché una disponibilità così esagerata? Perché tanta indulgenza? Per una sola ragione: Dio fa così con noi, con tutti. Dio riabilita sempre, cancella le offese ricevute, le calpesta, quasi a dire che per lui non hanno valore, anche se tutto ciò non avviene con un colpo di spugna, perché è pur sempre il sangue della Sua croce a lavare i nostri peccati. E Dio ci vorrebbe vederci come Lui, sua immagine e somiglianza: figli che mostrano il Suo cuore all’umanità con i fatti.

Mercoledì 14: Nm 21, 4b-9; Sal 77 (78); Fil 2, 6-11; Gv 3, 13-17
Il Signore disse a Mosè: «Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque sarà stato morso e lo guarderà, resterà in vita». (Nm 21,8)
Il Signore da sempre provvede per la vita degli esseri umani. Quanto avvenuto con il popolo di Israele è un dono che va oltre ogni loro peccato. Quello che al tempo mostrava la gloria del Signore e la sua volontà di salvezza trova compimento con la croce di Gesù: non un segno rispetto al quale il Signore può sembrare poco coinvolto, ma l’impegno totale, la vita donata per la vita di tutti. A tutti è rivolta la possibilità di alzare lo sguardo per trovare nella croce la forma definitiva della propria salvezza.

Giovedì 15: 1Pt 4, 1-11; Sal 72 (73); Lc 17, 11-19
La fine di tutte le cose è vicina. Siate dunque moderati e sobri, per dedicarvi alla preghiera. Soprattutto conservate tra voi una carità fervente, perché la carità copre una moltitudine di peccati. Praticate l’ospitalità gli uni verso gli altri, senza mormorare. (1Pt 4,7-9)
Per il cristiano ogni momento è decisivo, poiché Dio si è rivelato in Gesù, si è manifestato nella storia mostrando che essa ha un valore profondo. Infatti, Pietro non invita i cristiani a rifugiarsi in una realtà alternativa, ma a vivere in pienezza ogni giorno. Il legame con il Signore non si stabilisce uscendo dalla storia, ma vivendola in pienezza, relazionandosi con uno stile nuovo ai fratelli: l’invito a praticare l’ospitalità mette ancora in discussione l’autenticità con la quale si realizza il vangelo, davvero è una delle caratteristiche fondamentali dell’esistenza cristiana?

Venerdì 16: 1Pt 4, 12-19; Sal 10 (11); Lc 17, 22-25
Nessuno di voi abbia a soffrire come omicida o ladro o malfattore o delatore. Ma se uno soffre come cristiano, non ne arrossisca; per questo nome, anzi, dia gloria a Dio. (1Pt 4,15-16)
Pietro sta parlando a una comunità perseguitata, ma il suo ragionamento può essere esteso a ogni forma di sofferenza: spesso, davanti al male per il quale non si riesce a trovare spiegazione, si è portati a rovesciare su sé la colpa di quanto accade pur di dargli un senso. Il cristiano fonda la sua fede sulla sicurezza che Dio non vuole la sofferenza e il dolore, a partire dal fatto che Gesù ha dato la vita per salvare ogni persona. Pertanto anche il modo in cui la sofferenza è vissuta cambia: non il motivo per chiudersi in sé, né per provare vergogna, ma l’occasione per verificare in profondità se il proprio stile è quello del vangelo.

Sabato 17: Dt 12, 1-12; Sal 95 (96); Rm 9, 25 – 10, 4; Lc 18, 31-34
Demolirete i loro altari, spezzerete le loro stele, taglierete i loro pali sacri, brucerete nel fuoco le statue dei loro dèi e cancellerete il loro nome da quei luoghi. Non farete così con il Signore, vostro Dio, ma lo cercherete nella sua dimora, nel luogo che il Signore, vostro Dio, avrà scelto fra tutte le vostre tribù, per stabilirvi il suo nome: là andrete. (Dt 12,3-5)
La Scrittura è molto netta a proposito dell’idolatria: il popolo di Israele non può vivere in una situazione ambigua, nella quale l’alleanza con il Signore sia affiancata dal culto per altri dei. Le immagini usate sono molto forti: demolire, spezzare bruciare. Quei verbi possono applicarsi alla vita di ognuno: quali forme di idolatria è necessario togliere di mezzo per seguire il Signore? Si tratta di una forma di abbandono esigente e difficile, ma non corrisponde a una semplice norma, piuttosto è la risposta piena di vita di coloro che intendono la loro esistenza come una continua crescita, durante la quale camminare costantemente, creando lo spazio adeguato
perché il Signore si possa manifestare.

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