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Commento alla Parola: 1.8.2022 – 6.8.2022

Lunedì 1: 1Sam 1,1-11; Sal 115 (116), Lc 10,8-12
«Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”» (Lc 10, 8-9)
Mangiare, guarire, annunciare. Ecco i tre verbi del missionario. Mangiare come gratitudine verso la Provvidenza che accompagna passo dopo passo e non fa mancare il necessario e anche il superfluo. Guarire, perché prima di parlare occorre testimoniare Dio che è Amore specie verso gli ultimi, i più dimenticati. E annunciare, perché troppi sono insoddisfatti di una vita appiattita sul presente, sulle cose e sui risultati, si annoiano e non sanno che la gioia vera è a portata di mano: occorre aprire il cuore ai fratelli e non smettere di cercare.

Martedì 2: 1Sam 10,17-26; Sal 32 (33);
Lc 10,13-16 Guai a te, Corazìn, guai a te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidone fossero avvenuti i prodigi che avvennero in mezzo a voi, già da tempo, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite. Ebbene, nel giudizio, Tiro e Sidone saranno trattate meno duramente di voi» (Lc 10, 13-14)
Queste parole di severo rimprovero, di minaccia sono dette per scuotere. E occorre saperlo fare. Perché un atteggiamento sempre concessivo, indulgente, accomodante non fa crescere, anzi rende fragili, molli, incapaci di cogliere le grandi opportunità della vita. A volte ci si trova con un pugno di mosche in mano, sconfitti, ma occorre avere l’umiltà di riconoscere che avevamo fatto scelte sbagliate, che abbiamo buttato via o lasciato da parte i tesori veri della vita. Non basta vedere le persone semplicemente felici e invidiarle, o dire che sono state fortunate: occorre saperne carpire i segreti.

Mercoledì 3: 1Sam 17,1-11.32-37.40-46.49-51; Sal 143 (144); Lc 10,17-24
«Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi» (Lc 10, 19)
Questa invulnerabilità che Gesù promette al discepolo, a fronte dei pericoli e degli ostacoli che la missione comporta, è molto impressionante. Sappiamo infatti che l’immersione nel mondo non ci lascia indifferenti alle sue suggestioni, che in molti modi siamo insidiati e che non siamo certo dei supereroi. C’è però un potere che Dio dà: attraversare la mentalità di un mondo stregato dal mito dell’avere, dell’apparire e del potere, senza lasciarsene avvelenare, continuando, con l’incedere calmo e inesorabile della tartaruga, a operare il bene, ad occuparsi di chi ha bisogno, a spendersi gratuitamente in favore delle persone.

Giovedì 4: 1Sam 24,2-13.17-23; Sal 56 (57); Lc 10,25-37
«Chi ha avuto compassione di lui» (Lc 10, 37)
Ecco chi è il prossimo: colui che ha compassione, che sente suoi i dolori di chi incontra. La prossimità evangelica quindi non dipende strettamente dalla vicinanza fisica, è questione di un cuore che si commuove. Senza di questo anche i più vicini sono di fatto lontani, mai prossimi. Alla compassione ci si educa: non è solo una mozione istintiva del carattere, quella alla lunga può venir meno. La compassione cristiana si forma guardando la croce, sostando davanti ad un Amore così universale che condivide il dolore di ogni uomo che soffre.

Venerdì 5: 1Sam 28,3-19; Sal 49 (50); Lc 10,38-42
«Ma il Signore le rispose: “Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta”» (Lc 10, 41-42)
Rimaniamo sempre un po’ interdetti nell’ascoltare questo affettuoso rimprovero di Gesù a Marta. Forse perché ci è troppo vicina e simpatica la sua laboriosità lombarda e abbiamo grande stima delle persone che si danno da fare perché tutto riesca bene. Ma Gesù ribadisce che c’è un primato dell’essere sul fare, dell’ascolto sulle opere, delle persone sulle cose. C’è un primato di Dio che va dichiarato con la vita, evitando che Dio diventi funzionale alle cose che facciamo, o semplice cornice dorata del nostro attivismo. C’è una “parte migliore”, la Sapienza di questo Dio tra noi, che va messa sempre in evidenza e riconosciuta come il dono per eccellenza, come la sorgente chiara di ogni attività.

Sabato 6: 2Pt 1,16-19; Sal 96 (97); Eb 1,2b-9; Lc 9,28b-36
«Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto» (Lc 9, 28-29)
La preghiera trasforma. Non soltanto il mondo attorno a noi: prima ancora cambia noi. Cambia il volto, il cuore e poi anche le mani. Quando è vissuta bene, è un lasciare che Dio ci riplasmi, per renderci più simili a Sé e di conseguenza anche più fedeli a noi stessi, trasfondendo in noi i Suoi stessi modi di vedere e di sentire. Lo vediamo dagli occhi di chi esce da una vera preghiera: c’è luce, pace, vicinanza. Lo sperimentiamo anche su di noi: ci accorgiamo che reagiamo di fronte alle stesse realtà con una sapienza nuova, che non parliamo più allo stesso modo, che il modo di riferirci ai fratelli è più trasfigurato dall’amore.

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