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Commento alla Parola: 31.01.2022 – 05.02.2022

Lunedì 31 gennaio 2022 (Marco 5,25-28)
«Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: “Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata”»
Questa donna,  a differenza degli altri guariti da Gesù, presenta una personalità forte. Non si presenta dicendo: “Guariscimi”, ma agisce in prima persona. Sa di rischiare tanto perché era considerata impura e non avrebbe potuto stare vicino agli altri, né tanto meno toccare un uomo. Eppure la sua fede è forte ed è pronta a rischiare anche la lapidazione. Spera di non farsi vedere ma una volta scoperta non arretra, esce allo scoperto e affronta la situazione.
Come risposta Gesù la guarirà e la chiamerà figlia. Ogni tanto con S. Paolo occorre ricordarci che non ci è stato «dato uno Spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di prudenza» (2 Timoteo 1,7).

Martedì 1: Sir 36,1-19; Sal 32 (33); Mc 6,1-6a
«Gesù disse loro: “Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua”» (Mc 6, 4)
La profezia è sempre scandalosa, inquietante. Dice cose che scombussolano, disturbano, che obbligano a rivedere giudizi e comportamenti nei quali ci troviamo rassicurati, che magari abbiamo impiegato tempo, anni a formarci. L’istinto verso la profezia è quello del rifiuto, della protesta che sono forme di difesa. Il profeta si crea dei nemici, per i quali è facile replicare, perché per loro è sufficiente ripetere ciò che si è detto, fatto e pensato fino ad allora. Ma il profeta sente un dovere impellente verso la storia e verso l’umanità: sa bene che chi non va avanti va indietro e quindi non tace. Sa che il tempo gli darà ragione e questo gli basta, anche se ciò dovesse avvenire quando lui non ci sarà più.

Mercoledì 2: Ml 3,1-4°; Sal 23 (24); Rm 15,8-12; Lc 2,22-40
«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza» (Lc 2, 29-30)
Simeone è un uomo che ha saputo attendere, fidandosi delle promesse di Dio. Chi aspetta queste promesse e aspetta a lungo sa bene che a volte la tentazione di essersi illuso è pungente, che perseverare è faticoso e sembra non dover gratificare mai, anche se lungo il cammino avvengono delle piccole conferme, ci sono dei segni che incoraggiano. E alla fine Simeone vede! Certo, vede solo un germoglio, ma in quella piccola realtà riconosce che c’è tutto, in quell’uovo appena dischiuso vede già l’aquila che volteggia maestosa nei cieli immensi. È un uomo allenato a vedere con chiarezza ciò che per tanti altri è invisibile. È un uomo davvero mosso dallo Spirito santo.

Giovedì 3: Sir 26,1-16; Sal 127 (128); Mc 6,33-44
«Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose» (Mc 6, 34)
Il tempo di Gesù non è diverso dal nostro. In mezzo a quella folla smarrita e disorientata ci troviamo anche noi, che ogni mattina abbiamo bisogno di ritrovare il senso di ciò che facciamo, che nei tempi bui vorremmo avere più luce e vedere più lontano. La parola di Gesù è efficace perché non è quella di un erudito che spiega nozioni sconosciute, ma quella di un fuoco d’amore che conosce bene chi siamo, che corre in nostro aiuto, che risveglia ciò che abita già in noi e lo fa emergere, che ci rinfranca e ci conferma dal di dentro, accendendo la fiducia e la speranza. Ascoltare la Parola ogni mattina è davvero il nutrimento più indispensabile.

Venerdì 4: Sir 37,1-6; Sal 54 (55); Mc 7,1-13
«Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?» (Mc 7, 5)
Per Gesù la religiosità dei farisei doveva davvero essere uno spettacolo desolante. Avevano rimpicciolito l’esperienza di Dio fino a farla consistere interamente in una serie di cose da fare o da non fare, di parole da dire o da non dire. Come se Dio fosse quella cosa lì. Un Dio senza vita, senza passione, senza amore. Un Dio da accontentare con gesti, con rinunce, con preghiere. Una religione ridotta a mercato, fin dentro il tempio di Dio. Ma Gesù conosceva bene l’amore del Padre, parlava con lui notti intere, si sentiva riempire di fuoco il cuore e la mente, condivideva pienamente la sua passione incontenibile per ogni uomo e ogni donna. Un Dio che è luce, pane, vita, verità eternamente nuova: tutte cose sconosciute a quei farisei.

Sabato 5: Es 25,1-9, Sal 96 (97); Eb 7,28 – 8,2; Gv 14,6-14
«Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre» (Gv 14, 9)
Filippo vorrebbe vedere il Padre. Gesù gli risponde che deve semplicemente aprire gli occhi. A volte la gioia è sotto i nostri occhi e non ce ne accorgiamo. Cerchiamo di qua e di là, come se dovessimo ancora scoprirla o inventarla e invece ce l’abbiamo a portata di mano. La gioia vera non richiede cose enormi, né esperienze fantastiche: è fatta di servizio e di ascolto amorevole, di generosità che non pretende nulla, di fiducia e di pace nelle incombenze quotidiane, a volte anche di un po’ di riposo quando cominciamo ad illuderci di essere noi a salvare il mondo. La gioia è Gesù crocifisso, nostro Paradiso, perché amore sconfinato per ciascuno, anche per me, amore che dei molti fa un unico “noi”

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